I disordini temporomandibolari (TMD) sono un gruppo eterogeneo di patologie ad etiologia multifattoriale, caratterizzate da dolore oro-facciale localizzato tipicamente in area preauricolare, a livello dei muscoli masticatori o dell’articolazione temporomandibolare.
Circa 450 milioni di persone al mondo, prevalentemente di sesso e di età compresa tra i 20 e i 60anni, sono affette da TMD che rappresentano la più comune causa di dolore non dentale nella regione oro facciale. Nel 90-95% dei casi tali disturbi sono accompagnati da mal di testa, tinnito, disacusia, acufeni, dolore riferito nell’area dell’orecchio e della lingua.
In accordo con i “Diagnostic Criteria for TemporoMandibular Disorders”, RDC/TMD, è stato approntato un sistema classificativo a due assi, i quali permettono una diagnosi fisica (asse I) coordinata con una valutazione operativa del coinvolgimento psico-affettivo e sociale (asse II).
L’Asse I si differenzia in tre sottogruppi:
•Dolore miofasciale;
•dislocazioni discali;
•artralgia, artriti e artrosi.
L’ Asse II indica una misura di gravità del dolore, del disagio/disabilità creato da questo e dello stato psicologico (depressione e somatizzazione). Tutto ciò è indispensabile nel colloquio anamnestico con il paziente per individuare i soggetti con una situazione biopsicosocialecompromessa.
I fattori psicologici rivestono un ruolo importante nell’eziologia, nella progressione e nel trattamento dei TMD.
Di qui il ruolo che da sempre riveste nel counseling del paziente con disordini temporomandibolari nell’ambito di un approccio cognitivo comportamentale (CBT) il quale prevede: l’educazione del paziente circa l’eziologia multifattoriale dei TMD e il razionale della terapia cognitiva comportamentale; l’introduzione al ruolo dello stress e degli stati psicologici negativi come potenziali fattori nell’esacerbazione e nel mantenimento del dolore dei TMD; il monitoraggio da parte del paziente dei segnali e dei sintomi, in particolare individuando i comportamenti parafunzionali che devono essere evitati, come il masticare a lungo chewing-gum, il serrare e digrignare i denti, il dormire sulla mandibola, l’interporre la lingua fra i denti durante la deglutizione, l’onicofagia, il mordicchiamento di oggetti, guance ed unghie, l’uso di strumenti a fiato e il canto.
Attraverso la terapia cognitiva si insegna al paziente come determinati modelli di pensiero causino l’insorgenza di sintomi che influiscono negativamente sulla qualità della propria vita facendo emergere stati d’animo alterati come ansia, depressione e aggressività senza alcuna motivazione o provocando reazioni tipiche delle persone malate.
La terapia comportamentale aiuta il paziente ad indebolire reazioni esagerate a determinate situazioni come può essere il timore, la depressione, la collera o i comportamenti auto-lesivi attraverso il rilassamento del corpo e della mente.
Per giungere a questo traguardo è essenziale cominciare dalla compilazione dell’anamnesi.
Ascoltare e soprattutto porre domande durante il colloquio, sempre in modo educato e gentile, scegliendo un linguaggio semplice e positivo, aiuta ad avere un quadro completo della vita e dei disturbi del paziente e di conseguenza permette di adottare le misure precauzionali necessarie atte ad eliminare uno stato morboso senza ricorrere all’utilizzo di farmaci.
La terapia comincia già con la distribuzione al paziente di materiale informativo che gli possa fornire le indicazioni sui comportamenti corretti per ridurre i fattori di rischio e limitare i comportamenti disfunzionali; è importante infine addestrare il paziente all’automonitoraggio dei segni e sintomi e all’adozione di comportamenti corretti al fine di rinforzare quelli positivi e limitare quelli che agiscono negativamente attraverso una seduta psicoeducativa eventualmente associata a tecniche di rilassamento per il controllo dello stress.
E’ importante per la riuscita del nostro intervento che il paziente intenda esattamente il senso della terapia comportamentale assicurandosi la sua piena collaborazione.
L’approccio cognitiva comportamentale rappresenta, oggi giorno, uno dei numerosi orientamenti di gestione o management dei disordini temporomandibolari; si tratta di una metodica basata sulla presa di coscienza da parte del paziente della natura del suo disturbo, dell’eziologia, della prognosi e delle attitudini comportamentali che influiscono negativamente sulla sua sintomatologia.
L’intervento sarà quindi orientato dapprima ad una presa in carico del sintomo ed in seguito, in un’ottica protettiva e di rafforzamento delle risorse dell’individuo, ad un’analisi dei significati personali del sintomo stesso. Tale percorso deve essere valutato caso per caso e concordato con il paziente.
Si utilizzano varie strategie cognitive e comportamentali. Le tecniche cognitive sono finalizzate a delineare e collaudare i presupposti mal adattivi del paziente ed in particolare a:
• Regolare i propri pensieri negativi automatici;
• Riconoscere le connessioni tra cognizione, affetto e comportamento;
• Sostituire i pensieri disfunzionali con quelli funzionali.
Le tecniche comportamentali aiutano a modificare la relazione fra le situazioni che creano difficoltà e le abituali reazioni emotive e comportamentali che la persona assume in determinate situazioni, mediante l’apprendimento di nuove modalità di reazione.
In questo modo il paziente apprende una serie di metodologie che hanno lo scopo di migliorare la gestione autonoma del dolore nel corso dei diversi momenti della vita quotidiana. Un aspetto centrale di quest’approccio riguarda la richiesta rivolta al paziente di assumere un ruolo attivo nella comprensione e gestione della propria condizione attraverso la prescrizione di attività specifiche, l’automonitoraggio (tecniche comportamentali), la proposta di interpretazioni più funzionali del dolore, il training immaginativo, il fornire informazioni utili a spiegare le sensazioni negative (interventi educativi).
Partendo dal presupposto che abitudini viziate e parafunzioni sono spesso riconosciute come fattori predisponenti, scatenanti e aggravanti il dolore cronico, la consapevolezza dei propri disagi e di ciò che li innesca, seguita da mirate procedure di autocontrollo da parte del paziente, facilita la remissione dei sintomi nell’immediato e riduce il rischio di recidiva.
L’approccio è strutturato su base “stepped care” cioe’ per passi successivi partendo da metodiche meno invasive e più semplici.
In particolare per quanto concerne i disordini temporomandibolari questo tipo d’intervento può prevedere 4 passi:
• Auto-aiuto con materiale scritto: distribuzione al paziente di materiale informativo sulla multifattorialità dei TMD e del dolore cronico e di indicazioni sui “comportamenti corretti” per ridurre i fattori di rischio e limitare i comportamenti disfunzionali;
• Intervento psicoeducativo individuale o di gruppo: al paziente viene dedicata una seduta dall’odontoiatra o dall’igienista dentale in cui viene addestrato all’automonitoraggio dei segni e dei sintomi e all’adozione di “comportamenti corretti” al fine di rinforzare quelli positivi e limitare quelli che agiscono negativamente;
• Intervento psicoeducativo individuale o associato a esercizi di rilassamento e controllo dello stress (esercizi di respirazione, rilassamento dei muscoli masticatori e della testa) o trattamento farmacologico;
• Sostegno psicologico o psico-terapia cognitiva comportamentale breve.
I risultati ottenuti con questa terapia sono soddisfacenti. L’approccio cognitivo-comportamentale da sola o in associazione a terapia farmacologica rappresenta una valida ed efficace soluzione conservativa, in quanto sembrerebbe avere un effetto benefico non solo sul sintomo dolorifico, ma permetterebbe anche di mantenere o ristabilire un certo benessere psicosociale. In relazione a patologie ad etiologia multifattoriale come i disordini temporomandibolari, la terapia cognitivo comportamentale si rivela un utile supporto all’intervento odontoiatrico, poiché presenta le basi teoriche e l’esperienza clinica necessaria per la presa in carico degli aspetti emotivi, cognitivi e comportamentali del paziente, sebbene in letteratura non si ha ancora sufficiente documentazione per stabilire se questa terapia sia superiore alle altre metodiche ma, dimostrandosi clinicamente estremamente utile ed efficace, è un campo di ricerca molto attuale.
Attraverso l’intervento educativo e l’esplicitazione dell’influenza reciproca tra emozioni, pensieri e comportamenti, le tecniche di impronta cognitivo comportamentale da un lato favoriscono nel paziente la costruzione di una cornice di senso al disagio sperimentato, dall’altro forniscono opzioni percorribili per interpretare ed affrontare le situazioni problematiche. La comprensione che il proprio malessere è la risultante di pensieri, emozioni e comportamenti disfunzionali responsabilizza l’individuo e ne favorisce un atteggiamento più attivo e partecipe alle scelte terapeutiche, e bisogna inoltra sottolineare che ogni individuo ha la sua storia e che, se è possibile ed auspicabile generalizzare un metodo, non è possibile generalizzare le soluzioni che vanno invece prese con il paziente.
Prof.sa Marzia Segù
Professore Associato
Università degli Studi di Parma